Life Cycle Assessment: passato, presente e futuro della misurazione dell’impatto ambientale

Quella del Life Cycle Assessment è una storia che parte da lontano: precisamente negli anni ’60, quando Coca Cola decise di misurare l’impatto ambientale dei propri imballaggi analizzando i dati relativi al consumo di materie prime e combustibili nel corso del processo produttivo, realizzando così una delle prime valutazioni in assoluto dell’impatto del ciclo di vita di un prodotto attraverso una metodologia inizialmente conosciuta come Resource and Environmental Profile Analysis (REPA). Nei decenni successivi questo nuovo approccio alla misurazione delle esternalità di beni e servizi è andato progressivamente sviluppandosi grazie al contributo di ricercatori, aziende e istituzioni interessate a ottenere una visione d’insieme dell’impatto ambientale delle proprie attività, anche grazie ai pioneristici lavori di standardizzazione (come il documento “LCA 101” dell’Agenzia Statunitense per la Protezione dell’Ambiente negli anni ’80).

 

Utilizzato per la prima volta nel 1990, dalla Società Mondiale di Tossicologia e Chimica Ambientale (SETAC), il termine “Life Cycle Assessment” è diventato di uso comune negli anni successivi dopo la pubblicazione delle prime linee guida nel 1993 – a seguito di una serie di workshop organizzati dalla SETAC e culminati in un “Code of practice for LCA” – e alla definizione delle relative norme ISO entro l’inizio del nuovo secolo. Risale al 1996, infine, la prima rivista accademica interamente dedicata alla LCA, l’International Journal of Life Cycle Assessment: da meno di 100 nel 1998, il numero di articoli dedicati alla metodologia della valutazione del ciclo di vita ha raggiunto – non a caso – la media annuale di 1.300 pubblicazioni quindici anni più tardi, segnale di una crescita esponenziale di risorse e ricerche dedicate all’argomento.

 

 

Life Cycle Assessment: l’interesse del tessuto industriale italiano

 

Anziché essere il risultato di un singolo sforzo individuale, la metodologia oggi nota come Life Cycle Assessment è quindi il risultato di un impegno collettivo e di uno sforzo prolungato nel tempo: rispetto agli esordi, dove la misurazione si concentrava prevalentemente sull’inventario dell’energia, sull’uso delle risorse o sui rifiuti solidi dai processi industriali, l’attuale “LCA” consente di misurare i più rilevanti impatti ambientali della maggior parte dei prodotti e servizi esistenti, anche grazie a una crescita esponenziale dei database di inventario accessibili alla comunità di professionisti e ricercatori. Ad oggi, secondo uno studio dell’Università Sant’Anna di Pisa, il 26% delle aziende avrebbe già condotto uno studio LCA su almeno uno dei propri prodotti e, di queste, il 35% delle aziende su più di un prodotto o servizio, incentivate dall’assenza di metodologie concorrenti e altrettanto valide da un punto di vista scientifico.

 

 

I punti di forza dell’LCA: oggettivo e replicabile

 

A differenza di altre metodologie che permettono di calcolare l’impronta ambientale di un singolo prodotto unicamente dal punto di vista dell’emissione di sostanze nocive o del consumo delle materie prime, l’LCA si pone infatti come l’unico metodo scientificamente validato per calcolare l’impatto ambientale di prodotti e servizi lungo tutto il ciclo di vita di questi ultimi. Lo standard globale dell’LCA – quello che lo rende oggettivo e replicabile – è oggi definito dalle norme ISO14040 (“Principi e framework”), ISO14041 (“Goal and scope definition”), ISO14042 (“Impact assessment”), ISO14043 (Life Cycle Interpretation”). Le ultime tre norme, in particolare, sono state successivamente raccolte nella ISO14044, nel contesto di un processo in continua evoluzione che permette di valutare l’impatto di prodotti e servizi senza tralasciare nessuna variabile. Uno degli obiettivi primari dell’LCA, infatti, è proprio quello di evitare il fenomeno del cosiddetto “burden shifting”, ovvero il rischio che la minimizzazione degli impatti in un determinato momento del ciclo di vita di un prodotto possa generare impatti nocivi per l’ambiente nei momenti precedenti o successivi.

 

 

Le quattro fasi principali del Life Cycle Assessment, dalla valutazione all’interpretazione

 

Coerentemente con le norme ISO delineate, il Life Cycle Assessment si compone quindi di quattro fasi principali che possono essere applicate sia a livello di singolo prodotto o servizio, sia a livello di più categorie di prodotti o di intere organizzazioni aziendali:

 

  • La prima fase di una valutazione LCA, nota come “Goal and Scope Definition”, prevede la definizione degli obiettivi che si intendono perseguire, i prodotti e le loro finalità, i confini del sistema e la definizione dei destinatari dell’assessment finale (dirigenti, personale operativo, clienti, investitori, media o ricercatori, solo per fare alcuni esempi)
  • La seconda fase, o “Life Cycle Inventory”, prevede la mappatura dell’intero processo produttivo del prodotto in analisi e la raccolta di tutti i dati disponibili, sia in maniera diretta sia attraverso l’uso di inventari esterni attraverso la quantificazione dei flussi elementari che compongono il processo di produzione del prodotto.
  • La terza fase – il vero e proprio Life Cycle Impact Assessment – è quella del calcolo dell’impatto totale dei prodotti o servizi oggetto di analisi, valutando l’entità e la significatività dei potenziali impatti ambientali attraverso l’associazione dei dati di inventario a specifiche categorie d’impatto e indicatori di categoria (il cambiamento climatico, l’eutrofizzazione, l’acidificazione e la tossicità umana, solo per fare alcuni esempi)
  • La quarta, e ultima fase, è quella dell’interpretazione dei risultati e dell’elaborazione di suggerimenti e strategie future in relazione agli obiettivi delineati all’inizio dell’assessment, per ridurre l’impatto totale del sistema produttivo e rispondere a standard sempre più alti determinati dal contesto storico, economico, culturale e – ovviamente – ambientale in cui l’azienda stessa opera.

 

 

Il futuro dell’LCA: uno strumento di competitività per l’accesso ad appalti e gare

 

Più che un punto di arrivo, fine a se stesso, il Life Cycle Assessment può essere visto quindi come un punto di partenza nello sviluppo di nuove soluzioni più sostenibili nel tempo: pur senza alcuna forma di obbligatorietà, l’utilizzo della metodologia LCA in contesti di grandi aziende – come di piccole e medie imprese o startup – si rivelerà infatti sempre più determinante nella gestione dell’impatto delle singole attività, quale conseguenza di una richiesta crescente da parte di ogni tipologia di stakeholder di potersi affidare a misurazioni affidabili, serie, equiparabili, complete e scientificamente attendibili. Da notare, in questo contesto, il ruolo che avranno istituzioni pubbliche e grandi corporate nell’incentivare i propri fornitori a realizzare misurazioni tramite LCA per poter partecipare ad appalti e gare: sono una misurazione di questo tipo permette infatti di prendere decisioni di acquisto e di investimento consapevoli, in grado di generare un impatto positivo sulla società senza produrre effetti indesiderati nel lungo periodo.