The voice of Cariplo Factory
Le idee ci sono, ma una scarsa capacità di andare in ‘execution’ frena l’innovazione italiana
Idee ed execution. L’innovazione è come un tempio che si posa su due pilastri: l’idea e la sua realizzazione. Se uno dei due viene a mancare, l’edificio non può sostenersi. Non solo, affinché la struttura sia stabile, ossia perché l’innovazione accada, è necessario che i pilastri siano della stessa altezza. Idee e execution hanno la stessa importanza, non importa quanto buona possa essere un’idea, senza un’eccellente messa in opera è comunque destinata a fallire.
Provo a essere concreto e mi spiego con un esempio. Cosa intendo per execution ben fatta? La ‘cookies war’, come l’ha definita il New York Times: la serie di lanci e rilanci di Barilla e Ferrero nella conquista di nuovi mercati per i due brand italiani. Prima Barilla lancia la crema spalmabile Pan di Stelle ‘invadendo’ un terreno storicamente coperto da Ferrero, la risposta di Ferrero un anno dopo con Nutella Biscuits diventa un caso di marketing, con 4,2 milioni di confezioni vendute nelle prime quattro settimane, ma è seguita a strettissimo giro dall’annuncio dei nuovi Pan di Stelle Biscocrema di Barilla. Quello è un caso da manuale, il risultato di processi veloci ed efficaci. Che infatti hanno centrato in pieno l’obiettivo.
L’equilibrio tra questi due elementi è fondamentale, eppure a ben guardare gli sforzi delle aziende sembrano concentrati soprattutto nella ricerca dell’idea vincente, dando quasi per scontato che questa sia il principale fattore critico di successo. Tuttavia, nella nostra esperienza che vede Cariplo Factory accompagnare le imprese nel tortuoso percorso dell’innovazione, è vero proprio il contrario: alle aziende, di qualunque dimensione, le idee non mancano mai. D’altra parte, è proprio l’impresa il soggetto che può riconoscere le soluzioni più adatte a migliorare la sua condizione: è lei a conoscere il mercato, a sapere come si muovono i concorrenti e quale sia lo scenario di riferimento. È l’azienda a immaginare gli sviluppi tecnologici del settore e ad aver ben chiaro il perimetro, presente e futuro, del soggetto regolatore.
Dal disegno al mercato
A mancare è piuttosto la capacità di trasformare quell’idea da slide a realtà in tempi rapidi. Sul fronte dell’innovazione, è quindi nell’esecuzione di un processo che si può incidere davvero, preparando imprenditori e manager ad affrontare un percorso accidentato, lungo il quale le resistenze al cambiamento sono molteplici e di forme diverse. Nel corso degli anni, abbiamo visto decine di aziende trovare idee innovative con hackathon, e call for ideas per poi implementarle con successo
grazie a un meccanismo di contaminazione in grado di valorizzare le competenze e le esperienze interne con il portato innovativo di innovatori e startupper. Purtroppo ne abbiamo viste altrettante naufragare a causa della complessità di attivare un’esecuzione solida e in linea con gli obiettivi di tutti gli stakeholder. Anche qui, faccio un esempio concreto: una startup che si approccia a un progetto di open innovation ha bisogno di “fare in fretta”, perché su quel progetto sta investendo la risorsa più importante, il tempo. D’altro canto l’azienda, soprattutto se di grandi dimensioni, ha una struttura che non le consente di essere agile e veloce. Bisogna trovare un punto d’incontro, altrimenti il progetto è morto prima ancora di cominciare.
L’innovazione non conosce scorciatoie. Ha bisogno di un intervento sulla cultura e sui processi per ridefinire il percorso verso il mercato, perché è lì che le imprese finiscono in una palude dalla quale è estremamente difficile uscire da sole. Distratte dalle molteplici attività quotidiane del business, faticano a integrare le novità nei loro processi. E il percorso diventa subito in salita: perché il cambiamento venga accettato, il team che si occupa dello sviluppo di nuovi progetti deve scendere a compromessi con tutte le business unit della società; i tempi si dilatano, il progetto si modifica, e nel frattempo il mercato cambia. E così quando l’idea prende forma ed è pronta per il lancio rischia di non essere più quello che serve al mercato, perché nel frattempo è stata radicalmente mutata oppure, nel lungo tempo che passa fra l’idea e il mercato, le esigenze dei consumatori sono cambiate.
Test&Learn. E la rivoluzione dei team
La difficoltà generale nel governare i processi è il motivo stesso per cui gli investitori, quando scelgono una startup, lo fanno perché credono nel team e nella sua capacità di mettere in atto l’innovazione, quasi più che nella loro idea iniziale. Consapevoli che per aver successo bisogna avere il coraggio di sbagliare, ma anche la reattività per rispondere a mutate esigenze del mercato.
Se il successo del modello test&learn (prova e impara) si basa tutto sull’errore – quell’errore che in Italia si tende a demonizzare – allora la vera innovazione comincia con la rivoluzione culturale dei team che si occupano dello sviluppo di nuovi progetti. Perché per rendere efficiente l’esecuzione di un’idea abbiamo bisogno di svolgere dei test sul mercato. Perché i test siano veloci e precisi, abbiamo bisogno di snellire i processi. E, infine, per snellire i processi, abbiamo bisogno di formare i team attraverso dei programmi di coaching che mirino a creare una cultura simile a quella che caratterizza le startup: team che si muovono snelli, veloci, sviluppano e testano, fanno errori e portano sul mercato il miglior prodotto possibile in tempi estremamente rapidi.
Questo non è sempre possibile nelle aziende, specialmente in quelle più strutturate. E allora? E allora le grandi aziende devono lasciarsi accompagnare in questo nuovo mondo da chi conosce l’innovazione e la sa trasferire ai grandi gruppi: con percorsi di ‘coaching’ che permettono ai team di contaminarsi con la cultura da startup, suggerendo percorsi e processi innovativi, spingendo alla ricerca e all’uso delle nuove tecnologie, guidandole verso il meccanismo del test&learn e la gestione degli inevitabili errori, che rappresentano così tanto il paradigma di chi sta al passo con il mercato. E, soprattutto, con la consapevolezza che non è il grande a mangiare il piccolo, ma il veloce a battere il lento.