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Cattedrali nel deserto o catalizzatori di innovazione e crescita. Cosa resta dei grandi progetti Expo & co.?

A pochi mesi dall’inizio delle olimpiadi di Tokyo – per cui è previsto un investimento in infrastrutture di ben quasi 4 miliardi di euro – e nell’anno dell’expo di Dubai – il cui progetto ambizioso è di accelerare lo sviluppo economico degli Emirati Arabi Uniti – la domanda che ci si pone è: dopo l’entusiasmo e il buzz dell’evento di portata mondiale, che cosa resta di queste aree? Cosa permette a questi progetti di lasciare un’eredità duratura capace di impattare sul tessuto socio-economico delle città (e dei Paesi) ospitanti?
Domande che si pone oggi anche l’Italia con l’area Expo di Milano in cui sta prendendo vita Mind, Milano Innovation District. L’obiettivo è ambizioso:

“Trasformare l’area Expo in un grande polo dell’innovazione.
Un parco scientifico così grande da lasciare un’impronta sulla scena internazionale.
Un progetto i cui benefici non si limitino al capoluogo lombardo, visto che MIND consegnerebbe all’Italia un catalizzatore globale di talenti portatori di innovazione”.

 

Attrarre investimenti e generare ritorni economici per tutto il territorio attraverso funzioni scientifiche, ricreative, culturali, sportive, residenziali, produttive e terziarie – questi gli obiettivi di tutti i piani di riqualificazione delle aree che hanno ospitato i grandi eventi. A volte l’obiettivo viene centrato, ma non sempre. Ecco cosa si può imparare dai più eclatanti casi internazionali.

 

Dal fallimento di Atene al successo di Londra

 

Il disastro dei giochi di Atene, che hanno accelerato il fallimento della Grecia, e lo scempio delle Olimpiadi di Pechino (40 miliardi di dollari di costi) hanno fatto il giro del mondo; eppure a livello globale i casi di successo nella gestione delle grandi aree destinate a eventi sono innumerevoli.

Quello di San Francisco, per esempio, è eclatante. Nel 1915, l’Esposizione Pan-americana propose la città californiana come vetrina d’invenzioni, mettendo le basi per quel ruolo di tecnopoli, capitale della Silicon Valley, che sarebbe venuto negli anni. A cominciare dal 1941, quando dopo Pearl Harbor la ricerca militare e gli investimenti tecnologici del Pentagono si spostarono sulla costa occidentale americana. Dove non hanno fatto altro che attrarre nuovi investimenti in ricerca e sviluppo. E oggi, il palazzo dell’Expo di San Francisco è l’Exploratorium con il suo indissolubile legame tra passato e futuro.

Sono state un successo anche le Olimpiadi di Barcellona del 1992: il Porto Olimpico permise alla città di riscoprire il mare e scalare la classifica delle mete più visitata dai turisti. Grazie anche alla Barceloneta che fu trasformata in una vera spiaggia: bella e pulita. Trasformazioni che mostrano al mondo intero l’enorme patrimonio culturale della città: dieci anni dopo i Giochi, la città catalana ha superato Madrid come numero di turisti e nei primi 5 anni, i 10 miliardi di dollari investiti hanno generato un indotto di 26 miliardi di dollari. Un processo in qualche modo avviato nel 1929 con l’Expo che segnò l’inizio del recupero di Montjuic.

A dimostrazione che ragionare in un’ottica di lungo periodo è cruciale affinché un grande evento diventi un successo. Come quelli di Lisbona, Seattle (nel cui progetto ha investito anche Paul Allen co-fondatore di Microsoft insieme a Bill Gates), Shanghai e pure a Londra dove i Giochi del 2012 sono serviti a recuperare la zona est della città: il Parco Olimpico di Stratford è stato soprattutto un lascito infrastrutturale e sociale alla comunità locale. Degli 11 miliardi di sterline investiti, il 70% è stato speso nella bonifica dei terreni e dei corsi d’acqua di quell’area di East London, il resto è servito a potenziare la rete dei trasporti.

Anche Dubai, che ospiterà il prossimo Expo 2020, sembra aver imparato la lezione del “pensare in prospettiva di lungo periodo”. L’area da 650 mila metri quadrati che ospiterà l’evento sarà destinata a quartieri residenziali, istituti scolastici, caffè, ristoranti, parchi e strutture ricreative. Il padiglione nazionale degli Emirati Arabi Uniti rimarrà un centro eventi, mentre il padiglione della sostenibilità sarà destinato a centro per l’educazione scientifica: Siemens e Accenture hanno già comunicato la loro presenza.

 

Il progetto di Milano

 

Milano vuole inserirsi proprio nel solco della tradizione di successo, valorizzando un’area enorme per trasformarla in un volano per l’intero Paese, attraverso Mind. Una valorizzazione che si può ottenere solo attraverso la collaborazione tra attori pubblici e privati: una sfida che nel nostro paese hanno colto Arexpo, che mette a disposizione un milione di metri quadri, e LendLease, società australiana di Real Estate. A prendere parte al progetto anche   l’Ospedale Galeazzi, l’Università Statale, l’istituto di ricerca multidisciplinare Human Technopole, e Cariplo Factory in qualità di mediatore culturale, attraverso un piano di “Federated Innovation” che vedrà l’attivazione di una serie di programmi di innovazione che verranno realizzati all’interno del distretto.

 

Ispirazione internazionale, realizzazione locale

 

MIND è una grande opportunità per Milano e per l’Italia. Dobbiamo saper guardare all’estero per identificare i casi di eccellenza e ispirarci, ma non dobbiamo dimenticare che ogni progetto deve essere sviluppato avendo bene in mente quali siano le specificità del territorio in cui va a integrarsi. Soltanto identificando i nostri punti di forza e di debolezza, i nostri fabbisogni di innovazione – che chiaramente non sono gli stessi di Londra, della Silicon Valley o di Barcellona – potremo veramente creare un progetto fertile, un grande laboratorio di innovazione a cielo aperto dove domanda e offerta possano incontrarsi.

 

“Un grande parco tecnologico che rimetta l’Italia al centro dell’innovazione internazionale. E, perché no, fornire un esempio positivo di ciò che potrà accadere dopo le olimpiadi italiane del 2026.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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