
L’ecosistema italiano dell’innovazione ha compiuto importanti progressi nel corso degli ultimi anni, anche se molto resta ancora da fare per raggiungere il livello di sviluppo degli altri Paesi, a cominciare dagli investimenti in fase seed e dall’ampliamento delle opportunità di exit. Le soluzioni? Passano dall’ampliamento del mercato commerciale attraverso la leva del public procurement, da un’efficace opera di “moral suasion” verso gli investitori istituzionali e dallo sviluppo dell’ecosistema in una prospettiva sempre più europea: l’opinione di Giorgio Ciron, direttore generale di InnovUp, intervistato per il Magazine di Cariplo Factory.
Qual è lo stato di salute dell’ecosistema italiano delle startup?
I dati degli ultimi mesi vedono l’Italia in netta controtendenza rispetto al resto dell’ecosistema europeo, con una crescita del 30% anno su anno nella raccolta dei capitali grazie all’importante ruolo di CDP Venture Capital quale investitore “anticiclico”. Il gap con gli altri Paesi, tuttavia, rimane rilevante: secondo lo Startup Nations Standard Report 2024 realizzato dall’ESNA – Europe Startup Nations Alliance (di cui Innovup è referente per l’Italia, NdR), tra il 2020 e il 2024 la nostra media di investimenti pro capite nel venture capital non ha mai superato i 114 euro, rispetto ai 580 della Germania e ai 770 euro pro capite della Francia.
Come si spiega questa differenza, alla luce delle forti somiglianze con gli altri Paesi?
Il divario con la Germania è indicativo delle difficoltà sistemiche dell’ecosistema italiano: due Paesi apparentemente simili, per importanza del manifatturiero, presenza di filiere e distretti specializzati, rilevanza delle Piccole e medie imprese nel tessuto produttivo, sono tuttavia agli antipodi per quanto riguarda la presenza delle corporate. In Germania, le grandi aziende avviano progetti di open innovation, investono direttamente in startup o creano nuove ventures, mentre in Italia sono pochissime le imprese dotate dei mezzi e della rilevanza sistemica per poter svolgere lo stesso ruolo e favorire la crescita dell’intero ecosistema.
Quali sono i settori dove l’Italia sta facendo registrare i migliori progressi?
Dopo il temporaneo exploit dei settori fintech e IT negli anni passati, stiamo assistendo oggi a un forte riposizionamento di imprenditori e investitori nel Deeptech e Life Sciences, che storicamente possono contare su una solida base di partenza in termini di know-how, talenti e filiere industriali evolute. Altri settori da seguire con attenzione restano l’agrifood tech, l’aereospazio, il design, dove Made in italy e tecnologia possono trovare un punto di incontro e creare nuove realtà innovative.
Quali, invece, i nostri punti di debolezza?
La debolezza storica del nostro paese ha un nome che tutti gli investitori e imprenditori conoscono già: exit. In second’ordine, ma non per questo meno urgente, è il tema della mancanza di investimenti in fase seed, fondamentale per lo sviluppo di progetti che hanno già ricevuto il sostegno di acceleratori e business angel. Infine, affrontando il problema della crescita da una prospettiva più generale, permangono le difficoltà prettamente “italiane” del fare impresa: al di fuori della normativa di settore che facilita la creazione di nuove imprese, restano problemi di carattere più generale come il cuneo fiscale e i tempi della burocrazia con cui gli imprenditori, anche quelli più talentuosi, devono da sempre fare i conti.
Quali potrebbero essere le possibili soluzioni?
È prioritario agire sull’ampliamento del mercato commerciale e di quello dei capitali. Nel primo caso la nostra proposta è quella di favorire l’acquisto di soluzioni innovative nel contesto del public procurement, al fine di incentivare la presenza delle startup anche nei comuni delle aree interne del Paese, dove solitamente le singole aziende non sono in grado di arrivare con le proprie risorse. Ragionando in prospettiva, invece, l’introduzione del 28esimo regime da parte dell’Unione Europea potrebbe dare alle startup la possibilità di avere a disposizione sin da subito un mercato di dimensione europea , anziché limitarsi al solo mercato italiano.
Quali, invece, le soluzioni per far crescere il mercato dei capitali?
L’obiettivo è conosciuto, il modo per arrivarci dipende da una serie di fattori non puramente finanziari. Per aumentare il volume e la taglia degli investimenti dobbiamo indirizzare una parte dei capitali detenuti da fondi pensione, casse di previdenza e risparmi privati degli italiani verso i venture capital, e perché questo avvenga è necessaria un’efficace opera di “moral suasion” da parte del governo, come avvenuto in altri Paesi. Se l’obiettivo è quello di mettere l’Italia in una traiettoria di crescita sostenibile non è possibile fare a meno delle startup, perché è da queste ultime che dipende l’ideazione di nuove soluzioni di mercato e la creazione di posti di lavoro. Secondo la ricerca realizzata da InnovUp sui dati del decennio 2012-2023, il 25% dei nuovi posti di lavoro in Italia è stato creato dalla filiera dell’innovazione.
Come si sta muovendo l’Europa, e quanto sono importanti iniziative come la Task Force della Commissaria Ekaterina Zaharieva?
La direzione che hanno tracciato è quella giusta: l’ecosistema delle startup può evolversi e fare il salto di qualità solo abbracciando una dimensione europea e invertendo il deflusso di capitali di cui oggi beneficiano prevalentemente altri Paesi, come gli Stati Uniti. Un segnale che qualcosa sta cambiando lo vediamo nei primi annunci di imprenditori, professori e ricercatori che esprimono pubblicamente sui social o nelle interviste il desiderio di tornare “indietro”: dagli USA agli Europa, dall’America all’Italia, in un periodo di forte instabilità politica ma anche per ragioni di carattere familiare. Se queste testimonianze isolate dovessero, nel prossimo futuro, tradursi in un riflusso significativo, spero che per quel momento saremo pronti con nuove regole e una nuova mentalità adatta a valorizzare le loro idee imprenditoriali: sta a noi fare in modo che possano trovare qui le stesse opportunità che hanno deciso di lasciarsi alle spalle.