Tre startup lanciate negli ultimi due mesi grazie all’AI: non si tratta di un desiderio, né di un record da battere, ma di una possibilità verificata con l’esperienza personale. Questa dimostrazione empirica, e il lavoro costante a fianco degli imprenditori, offrono lo spunto per una riflessione sul potenziale dell’intelligenza artificiale nell’accelerare la nascita di nuove aziende, dall’idea al MVP, anche in mancanza di un team già pienamente formato e operativo.
Di cosa parliamo quando parliamo di “solopreneurs”
Con un investimento limitato a poche centinaia di euro per le versioni Premium dei migliori servizi di AI generativa è possibile, infatti, creare team virtuali completi: si pensi, a titolo di esempio, all’utilizzo di Lovable per le interfacce, Supabase per il backend, N8N per gestire agenti AI multi-modello via OpenRouter, Midjourney per il brand, e OpenAI per copywriting, SEO, naming, cold email e strategia.
Il tutto orchestrato da solo, in completa autonomia: nessun dipendente, nessuna call, nessun investimento di “family & friends”. La nascita di una nuova categoria di aspiranti imprenditori che riescono a creare aziende da soli, o quasi, altrimenti conosciuti come “solopreneurs”, risponde a uno dei principali ostacoli contro cui migliaia di founder hanno dovuto capitolare: pur avendo idee, metodo, visione, in passato moltissimi di loro non sono stati in grado di trovare risorse economiche e/o figure tecniche per poter mettere queste idee a terra. Poi è arrivata l’AI, e il tavolo si è ribaltato.
Un trend che va consolidandosi: ora l’indicatore chiave è il “revenue per founder”
Quello che a molti sembra essere ancora una sperimentazione a titolo personale, o limitata a pochi, specifici casi, è in realtà parte di una trasformazione più ampia e profonda. Secondo Carta, il 38% delle startup bootstrapped nel 2024 è stato fondato da una sola persona, contro il 17% di quelle venture-backed, e appena il 10–12% tra le SaaS che hanno raggiunto l’IPO.
Non si tratta di iniziative marginali. Secondo la classifica elaborata da “Top Lean AI Native Companies Leaderboard”, Midjourney ha superato i 200 milioni di dollari di fatturato con meno di 100 dipendenti. Cursor (Anysphere) ha raggiunto una valutazione da un miliardo con appena due founder. Pieter Levels ha dichiarato un fatturato annuale di oltre 3 milioni di dollari da solo, senza l’apporto di nessun VC e senza possedere alcuna sede fisica: solo AI tool, community e metodo. Cambiano, in questo senso, anche gli indicatori chiave: sempre meno “burn rate”, sempre più “revenue per founder”.

Dal sovraccarico decisionale alla scalabilità: le criticità da non sottovalutare
L’AI ha reso possibile un’efficienza senza precedenti, ma non ha eliminato i rischi. Anzi, in alcuni casi li ha amplificati.
La prima criticità è il sovraccarico decisionale. Chi lavora da solo prende ogni decisione strategica e operativa: dal design all’architettura tecnica, dal branding al pricing. Il rischio di “decision fatigue” è reale, così come quello di restare intrappolati in bias di conferma. La governance “in solitaria”, senza un confronto con l’esterno, può trasformarsi rapidamente in un boomerang.
La seconda criticità riguarda la scalabilità. Come ha dichiarato Thomas Dohmke, CEO di GitHub, il cosiddetto “vibe coding” va bene per prototipare, ma un prodotto complesso richiede una solida architettura software e competenze ingegneristiche profonde. Il rischio, in questo caso, è quello di costruire castelli di sabbia: bellissimi in demo, instabili in produzione, almeno per il momento (gli strumenti per il “no-code” stanno infatti migliorando molto rapidamente, come dimostra l’esempio di Lovable, permettendo di avere la struttura e la flessibilità per generare prodotti scalabili).
Infine, c’è il tema della dipendenza dalla traction immediata. L’AI accelera la creazione, ma non garantisce il product-market fit. La maggior parte dei progetti AI, non è un mistero, falliscono per mancanza di un vero bisogno di mercato: senza un processo rigoroso di validazione si rischia di costruire prodotti sempre più vicini alla perfezione, ma irrilevanti.
Verso un modello ibrido?
Malgrado queste difficoltà, il fenomeno dei “solopreneurs” rimane ben lontano dall’esaurire la sua carica propulsiva. L’intelligenza artificiale abilita un numero sempre più ampio di persone a compiere i primi passi della loro avventura imprenditoriale. A essere in vantaggio, oggi, non sono i founder con più capitali o sviluppatori, ma quelli che individuano con precisione chirurgica un bisogno reale e sanno validarlo sul mercato con rapidità estrema, grazie all’AI.»
È vicina, quindi, l’era della “1-person billion dollar company”? Probabilmente sì: se oggi l’AI è utilizzata prevalentemente nella creazione di prototipi, essa è già in grado di svolgere una serie più ampia di servizi ritenuti tradizionalmente di stretta competenza degli esseri umani. Nei prossimi anni potremmo quindi assistere alla nascita dei primi unicorni realizzati da un solo founder, con il contributo di un numero pressoché illimitato di co-founder, collaboratori, assistenti “artificiali”.
Come spesso accade il futuro potrebbe essere molto più imprevedibile di così, e potremmo assistere anche all’emergere di un numero illimitato di modelli ibridi: startup avviate da solopreneur che integreranno competenze esterne (tecniche o strategiche) quando strettamente necessario. Un approccio destinato al successo se i founder saranno in grado di sviluppare prodotti in grado di rispondere a bisogni reali, di scalare in maniera significativa e di costruire una rete di supporto in grado di intervenire al momento giusto per compensare i limiti della tecnologia.
In questo scenario, i veri asset a disposizione degli imprenditori resteranno due: tempo ed AI. Il resto è strategia.
Nicholas Todeschini
Senior Venture Architect