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Storie di Pow(H)er Generation con Aedo Società Cooperativa Impresa Sociale

Nome e Cognome | Maddalena Camera

Ruolo | Co-Founder, CEO, Direttore Artistico e Creativo

Nome startup | Aedo Società Cooperativa Impresa Sociale

Settore |  Culturale-creativo a vocazione sociale

Anno di lancio | 2014

Per la rubrica Storie di Pow(H)er Generation,
oggi intervistiamo la founder di Aedo Società Cooperativa Impresa Sociale

 

Di cosa si occupa e qual è il punto di forza della Aedo?   

Aedo realizza e sviluppa azioni culturali dall’impronta fortemente creativa e dalla vocazione sociale per istituzioni e progetti culturali. A partire dai bisogni delle organizzazioni e dall’idea che la cultura sia un motore di aggregazione e benessere sociale, affianca le organizzazioni in azioni complesse: in particolare Aedo lavora all’ ideazione e  realizzazione di percorsi di narrazione e valorizzazione del patrimonio culturale (attraverso ambienti immersivi e sensibili, abitati da linguaggi audiovisivi) e alla co-progettazione di iniziative di partecipazione ai luoghi culturali (azioni, queste ultime, che mettono in dialogo ambienti analogici e digitali), con l’obiettivo di generare impatto e inclusione sociale.

 

Com’è nata l’idea? 

L’idea di Aedo è nata da un gruppo di amici, tutti professionisti in ambiti molto diversi tra loro: una storica e critica dell’arte, esperta in nuovi modelli e nuove pratiche museali, con un passato da restauratrice e un’esperienza pluriennale nella lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa e all’inclusione di cittadini stranieri di prima e seconda generazione; un architetto e designer, docente di materie artistiche, esperto in didattica digitale e sviluppo di progetti partecipati a impatto sociale realizzati con e per le nuove generazioni; un architetto web, esperto nello sviluppo di sistemi di interazione immersivi e ibridi con i contenuti audiovisivi; un project manager, esperto in gestione di realtà a vocazione no-profit, indispensabile alla trasformazione di un sogno creativo e sociale in una realtà concreta e sostenibile. Era per ciascuno di noi arrivato il momento di provare a fare qualcosa che amavamo e in cui credevamo davvero. Abbiamo scoperto la call di IC – Innovazione Culturale (bando di Fondazione Cariplo e Regione Lombardia), all’epoca alla sua prima edizione, e abbiamo candidato un’idea che in quel momento era un desiderio comune: trasformare una passione in una realtà che potesse avere un impatto positivo sulla comunità. Non tanto creare un’occasione di business, dunque, ma di significativo contributo al benessere della comunità, costruendo la sostenibilità della nostra idea di innovazione culturale.

 

Con Aedo hai realizzato un tuo sogno o hai stravolto i tuoi piani?

Entrambe le cose. Ho trasformato un sogno in un percorso di vita che dura ancora, ormai da otto anni. D’altra parte ho anche cambiato radicalmente l’impostazione della mia vita precedente. Ho capito che sono nata per progettare, per condividere idee e progetti creati da me e insieme alle persone con le quali condivido questi sogni e questa impostazione, per seminare qualcosa di buono. Questa è la mia strada, insomma.

 

Di cosa ti occupavi prima di lavorare in una realtà innovativa?

Lavoravo come restauratrice, collaborando con diverse équipes di professionisti, nell’ambito della conservazione e valorizzazione delle opere d’arte, sia antica sia contemporanea.

 

Hai vissuto delle difficoltà nel reperire finanziamenti?

A tratti, perché dopo l’opportunità offerta dal bando IC, che ci ha permesso di avviare Aedo, abbiamo lavorato a volte su commissione diretta, ma più spesso abbiamo affiancato le organizzazioni culturali nel reperire i fondi necessari per sviluppare i progetti, condividendo, quindi, anche i rischi.

 

In base alla tua esperienza reputi che il percorso professionale femminile sia più complicato di quello maschile?

Per mia attitudine tendo a non soffermarmi a riflettere su queste distinzione, ma a ragionare sulle singole persone in quanto tali; tuttavia in base alla mia esperienza ho constatato che forse il percorso professionale femminile è ancora soggetto a una quota di preconcetti, radicati anche in maniera inconsapevole e trasversale ai vari contesti culturali e sociali nei quali mi sono trovata ad interagire.

 

Giovani e imprenditorialità – Hai mai avuto una mentor che ti ha guidata/ispirata nel tuo cammino imprenditoriale?

Fin dalla fase di formazione delle mie competenze imprenditoriali ci sono state delle figure di mentor alle quali mi sono affidata, che di volta in volta percepivo come importanti per la mia crescita personale e professionale, senza distinguere se fossero uomini o donne. Pensandoci, finora mi è stato più facile (o forse semplicemente mi è capitato di più) di rapportarmi con figure di mentor maschili.  

 

Come è stato ricevere il primo “no”? Che sensazioni hai provato?

Dopo un primo momento di dubbio e di messa in discussione della bontà di quello che stavo facendo, questo “no” mi è servito per riflettere, per confrontarmi con quegli stessi interlocutori e con altre persone e realtà sia simili sia molto diverse, per trovare, alla fine, una conferma del valore del mio progetto. Quel “no”, dunque, è stato per me educativo, perché mi ha portata ad acquisire come metodo quello del dialogo e del confronto che ha aperto numerose porte, su esperienze anche inaspettate.

 

Quale è stato il momento di soddisfazione più grande che hai vissuto nel contesto della tua avventura imprenditoriale? 

Sicuramente quando abbiamo superato tutte le fasi di selezione del bando IC-Innovazione Culturale, diventando una delle prime 12 imprese nate in Lombardia con questo bando. Ma anche vedere il primo progetto prendere vita e diventare un prodotto culturale a disposizione della comunità: il progetto MuSt, realizzato per il Museo della Stampa e della Stampa d’Arte di Lodi, dove la collezione, gli spazi dell’ex-tipografia che la ospitano, l’installazione multimediale interattiva realizzata e i laboratori creativi ora dialogano e si integrano costantemente, trasformando nuovamente quel luogo in una fabbrica di esperienze multisensoriali continue.

 

Come vedi la tua impresa tra dieci anni?

Quello che mi piacerebbe è vederla più grande, in due direzioni: da una parte ampliare la rete di enti che hanno gli stessi sogni e progetti, e aumentare l’impatto di questa visione fortemente sociale e inclusiva rispetto al benessere della comunità; dall’altra parte, lavorare con dei format applicabili a contesti più ampi, sia a livello nazionale sia internazionale.

 

Pensi che il territorio abbia avuto un impatto sull’ideazione e lo sviluppo della tua startup?

Sì, perché la conoscenza del territorio in cui vivo e il mio desiderio di contribuire a migliorarlo ha fatto da guida per costruire dei progetti attorno all’individuazione dei bisogni del territorio, delle sue realtà culturali e della sua comunità.

 

 

 

Grazie a Maddalena per aver condiviso la sua storia di empowerment,
con l’augurio che possa essere d’ispirazione per le Founder di domani! 

 

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