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Storie di Pow(H)er Generation con Gaya Spolverato
Storie di Pow(H)er Generation prosegue con l’intervista a Gaya Spolverato, Chirurga Oncologa, parte del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Oncologia Chirurgica e Co-Fondatrice e Presidentessa di Women In Surgery Italia.
Intervista di Danila Zammitti, Head of Impact Innovation di Cariplo Factory.
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Partiamo dall’inizio, perché hai scelto di fare il medico?
Ho scelto questa professione per un desiderio di restituzione. Ho sempre pensato che fare il medico volesse dire prendersi cura delle persone e contribuire con le proprie conoscenze al benessere degli altri. Con il tempo mi sono appassionata sempre di più alla materia. Anche se nella mia famiglia nessuno è medico, ho sempre avuto presente l’esempio di mia madre, molto disponibile con le persone bisognose di cure ed aiuto. Così, ho pensato che diventare una professionista del settore medico mi avrebbe portato grandi soddisfazioni.
Hai alle spalle un percorso internazionale da Padova a New York. Quali sono stati i momenti cruciali della tua formazione e come hanno inciso sul tuo percorso professionale?
Sicuramente il fattore che ha inciso di più sul mio percorso professionale è stato lo studio, l’università di Padova mi ha dato le basi per costruire la mia carriera. In secondo luogo, per me la possibilità di andare negli Stati Uniti come medical student al Memorial Sloan–Kettering Cancer Center – dove tornai anni dopo come chirurga – è stata fondamentale. Il terzo passaggio importante è l’esperienza negli stati uniti durante la scuola di specializzazione in chirurgia generale, che mi ha dato la possibilità di trovare un mentore d’eccezione Tim Pawlik che è ancora una figura di riferimento per me. Infine, arriva la gloriosa esperienza di come international fellow in surgical oncology al Memorial Sloan–Kettering Cancer Center di New York, dove ho potuto mettere a frutto le conoscenze e la mia passione. La possibilità di tornare a Padova è stata una chiusura del cerchio, un ritorno alle origini importante.
Lavori in un ambiente, quello della chirurgia, che da sempre è considerato un “mondo maschile”. Oggi è ancora così?
Si, ma sempre meno. Anche se oggi si sta molto più attenti ad alcuni aspetti che minano la sensibilità pubblica, quello della chirurgia resta un ambiente maschile perché è sempre stato considerato un lavoro di forza. Non è così. Si tratta di un lavoro di testa, manualità, pazienza e conoscenza. Oggi inizia ad essere un ambiente in cui si riescono a far entrare persone con
desiderio di apprendere e conoscenze da condividere, quindi molte di noi riescono a trovare il loro spazio. Mi auguro che tra qualche anno le problematiche legate al genere siano solo un ricordo. Il cambiamento, infatti, è attestato anche dal numero crescente di specializzande in chirurgia, a cui auguro di poter fare questo mestiere dopo la scuola di specializzazione.
L’anno scorso erano 130 le chirurghe nel nostro Paese. La strada per raggiungere la parità – sotto tutti i punti di vista – è ancora tortuosa. Hai mai vissuto una situazione in cui l’essere donna è stato per te discriminante? Se sì, come l’hai affrontata?
Racconto sempre un episodio accaduto durante il mio primo anno di università: un professore chiese alla classe che professione avrebbe voluto intraprendere. Quando chiese “chi vuole fare il chirurgo?” io alzai la mano e lui mi rispose “a parte te, che sei una donna”. Io ho relegato questi episodi in una parentesi di scherni. Mi sento di dire, però, che l’ironia lascia il tempo che trova. Le difficoltà reali sulle quali è necessario lavorare sono concettuali, mi riferisco a quando essere donna diventa un problema per l’avanzamento della carriera. A me non sono capitati molti episodi in cui mi è stata dette di scegliere tra la mia carriera e la mia vita personale perché mi sono disegnata una strada. Ho sempre voluto formarmi al meglio con l’idea che quando sarei stata formata davvero bene il genere non sarebbe stato un problema. Questa idea ha illuminato il mio percorso. Io credo che nel mio caso il bello deve ancora venire, fino qui è andato tutto bene ma non so cosa succederà quando si cercherà di ambire a ruoli di leadership.
Quale provvedimento suggeriresti per favorire una maggiore partecipazione di chirurghe in ruoli apicali?
Dico sempre che dobbiamo partire dal denominatore. Mi spiego, il fatto che ci siano poche donne in posizioni di vertice è la conseguenza del fatto che ce ne sono poche in partenza, al denominatore. Il problema è che non sono certa che aumentando questo numero la situazione cambierebbe. Per questo bisogna trovare delle soluzioni, tra quelle che io ritengo fondamentali c’è sicuramente la considerazione del bias legato al fatto che le donne per arrivare dove sono devono superare più ostacoli. Io credo che la rappresentanza delle donne in posizione di vertice debba essere in qualche modo stimolata, non con le quote – che hanno anche aspetti molto positivi – ma considerano questi bias. Negli Stati Uniti si inizia ad usare il fattore di correzione nei risultati dei concorsi, a parità di merito o punteggio penso sia giusto prendere una donna.
Cosa significa lavorare in una sala operatoria per una donna? Quanti interventi hai in programma ogni settimana?
Io lavoro in un ambiente accademico, quindi la mia settimana è distribuita tra docenza, ricerca, attività clinica, ambulatoriale e sala operatoria. Io faccio spesso quattro o cinque interventi a settimana, ma è una frequenza che può cambiare a secondo della necessità e delle urgenze. Fino ad oggi ho effettuato più di 3000 interventi e scritto oltre 190 articoli scientifici.
Talvolta le giornate sono infinite. Mi definisco una collezionatrice di impegni e mi piace così, vivo di entusiasmo.
È vero che una donna incinta non può entrare in sala operatoria? E Che impatti ha questa regola sulla carriera di una chirurga?
Questa è una questione importante che, secondo me, subirà dei cambiamenti nei prossimi anni. Infatti, la legislazione in italia è molto diversa da quella degli altri paesi del mondo. Il fatto di entrare a contatto con un possibile rischio per il feto mette la madre nella condizione di allontanamento da ogni luogo in cui si possa mettere a repentaglio la vita del nascituro, per questo non ci si può avvicinare alla sala operatoria per i mesi della gestazione e della maternità obbligatoria. Se vogliamo pensare di rendere questo mestiere agevole per le giovani bisogna rendere questo aspetto volontario, per facilitare l’accesso in sala operatoria dove il rischio è molto basso o nullo. Pensare di stare fuori dalla sala operatoria per un anno è molto limitante. I pareri su questo tema sono contrastanti ma il mio parere è che questa posizione debba essere rivista.
Le statistiche fanno pensare che il numero di chirurghe, nel prossimo futuro, salirà in modo significativo e nel giro di pochi anni potrebbero essere più numerose dei colleghi maschi. Hai fondato Women in Surgery Italia per valorizzare la diversità di genere in questo ambito. Ci racconti nel dettaglio di cosa si occupa l’associazione?
Io e la Dott.ssa Frigerio abbiamo fondato Women in Surgery Italia nel 15 ottobre 2015, quando io ero la sua specializzanda e lei mi ha potuto insegnare cosa volesse dire essere chirurga in senso ampio, anche come madre, donna e professionista realizzata. Quel giorno ci siamo accorte che l’unica persona di genere maschile presente in sala era il paziente. Ci siamo accorte che qualcosa stava cambiando. Così abbiamo deciso di raccontare questa storia e abbiamo iniziato a fare i conti per capire quanto donne ci fossero in posizione di vertice, specializzande e studentesse. Ci siamo accorte che c’erano molte donne ma poche in posizione apicali e volevamo capire quali fossero gli elementi che contrastassero la progressione della carriera della donna e così abbiamo fondato questa associazione sulla scorta di altre realtà americane e inglesi. Vogliamo unire e rappresentare le chirurghe italiane, ciascuna con le proprie diversità, che possano essere un faro per le più giovani. E’ necessario creare un ambiente più positivo e permissivo. Un’associazione come la nostra può portare la voce delle chirurghe a mettere in discussione lo stato dell’arte.
Women in Surgery Italia attiverà un progetto pilota di mentorship per l’anno 2022, un’iniziativa nuova per il settore medico, e nello specifico chirurgico. C’è stato un/una mentore nel tuo percorso professionale? In caso, come ha contribuito al tuo sviluppo professionale?
Il mentore è una figura essenziale per la professione chirurgica e per le chirurghe. Io ho avuto la fortuna di avere più di un/una mentore, persone che sono state in grado di aiutarmi in diverse fasi della mia carriera. Per questo abbiamo pensato di incentivare il ruolo di questa
figura mettendo a disposizione delle chirurghe delle figure professionali che possano supportarle.
Guardando indietro, il tuo è sicuramente un percorso di grande successo. Guardando avanti, cioè ai prossimi anni, cosa ti piacerebbe vedere?
Mi piacerebbe vedere un ambiente più aperto al cambiamento e alla versità, un ambiente più fluido e dinamico che metta in discussione lo stato dell’arte. Credo molto nel beneficio della diversità. Per quanto riguarda il mio percorso, mi piacerebbe avviare Women in Surgery in modo che possa andare avanti senza noi founder, ma con l’entusiasmo delle giovani chirurghe.
Grazie Gaya Spolverato per aver condiviso con noi la sua storia, con la speranza che sia fonte d’ispirazione e consapevolezza.
Per maggiori informazioni sull’iniziativa Pow(H)er Generation ti invitiamo a scoprire di più sul sito ufficiale di Cariplo Factory.